Albicocco, tra incognite produttive e criticità fitosanitarie

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L’albicocco, una delle poche drupacee insieme al ciliegio estesasi nel Meridione, presenta una certa stabilità produttiva, come emerge confrontando i dati delle superfici coltivate tra il 2006 e il 2016. La crisi commerciale vissuta da altre drupacee, in particolare dal pesco, non ha finora interessato l’albicocco. Negli ultimi anni vi è stata un’inversione di tendenza o quantomeno si sono raffreddati gli entusiasmi nei confronti di questa specie per una serie di problematiche. Nello specifico, la scarsa adattabilità ambientale è legata sia a fattori intrinseci fisiologici della specie e delle varietà, sia alle mutevoli condizioni ambientali che ne hanno influenzato il comportamento vegeto-produttivo. In tali condizioni, a prescindere dalla superficie, il dato produttivo italiano si è attestato oltre i 2 milioni di q. con variazioni in base alle annate e all’ambiente.
A livello europeo, almeno tra i Paesi che destinano la loro produzione al consumo fresco, l’Italia occupa un ruolo leader per superficie e produzione, mentre a livello nazionale la coltivazione è concentrata principalmente in 3 regioni: Emilia-Romagna al Nord, Campania e Basilicata al Sud, nelle quali si concentra circa il 75% della superficie totale. Da segnalare il forte impulso che questa coltura ha avuto in Puglia, ormai consolidatasi al 4° posto a livello nazionale, con l’interessamento di aree interne per la produzione tardiva, oltre alle storiche aree di coltivazione costiere in cui si concentra la produzione più precoce.
La produzione di albicocche è passata da una destinazione agro-industriale ad una prevalentemente da mercato del fresco, determinando una forte spinta nell’innovazione varietale che ha visto l’introduzione e la diffusione di varietà “moderne”, particolarmente apprezzate dai mercati di consumo. Oggi il consumatore richiede prodotti attraenti, di buon sapore, di buona consistenza e “shelf life”.
La commercializzazione del fresco, con la maggior parte del prodotto collocato attraverso la Gdo, comporta una serie di adempimenti quali garanzie igieniche, rintracciabilità, conservabilità, certificazioni di prodotto, ecc. Tutto ciò richiede un nuovo approccio per le imprese agricole, che sta determinando un adattamento delle scelte di campo alle esigenze dei nuovi interlocutori commerciali.
Dall’altro lato, l’introduzione di varietà che meglio soddisfano le richieste dei consumatori ha comportato una serie di problemi agronomici che investono la tecnica di coltivazione e la scelta delle aree maggiormente vocate in virtù della scarsa plasticità di adattamento che la specie presenta. I programmi di miglioramento genetico hanno prodotto alcune serie varietali con aspetti comuni quali caratteri del frutto (esterni ed interni) e scalarità di maturazione per assicurare un calendario di commercializzazione molto ampio, passato da 45 a 120 giorni. Ma con l’introduzione delle nuove varietà sono insorti problemi di adattamento ambientale, auto-incompatibilità di alcuni genotipi, fabbisogno in freddo e caldo, caratteri pomologici innovativi, gestione della chioma, difficoltà fitosanitarie legate alla Sharka.
Per superare questi ostacoli occorre perciò una fase di validazione delle varietà selezionate, cercando di avere dai costitutori quante più informazioni possibili sui caratteri biologici-fisiologici e comportamentali che aiutino a migliorare la gestione della pianta. Questo per evitare “salti nel buio” che nella maggior parte dei casi si tramuterebbero in insuccessi produttivi. Nell’ultimo decennio il miglioramento genetico ha messo a disposizione una serie di varietà che, in una prima fase, erano maggiormente idonee per gli areali settentrionali; solo di recente, grazie a costitutori spagnoli, sono state proposti genotipi indicati anche per gli ambienti del Sud Italia.
Rispetto al comportamento legato alla fisiologia della pianta, come il fabbisogno in freddo, resta prioritario definire da parte dei centri di sperimentazione le aree omogenee rispetto alle ore di freddo e di caldo, oltre alla determinazione del fabbisogno in freddo delle singole varietà. Lo stesso discorso vale per gli aspetti di biologia fiorale, per cui sarebbe auspicabile l’introduzione di sole cultivar auto-compatibili e, qualora non lo fossero, indicare gli impollinatori più idonei per ogni specifica varietà. A questo si deve aggiungere una fase di sviluppo della varietà, intesa come momento in cui mettere a punto le tecniche colturali più idonee per supportarne la produzione, la gestione della chioma e gli interventi di potatura, affinché la cultivar possa esprimere le migliori “performance”.
Un altro aspetto da considerare è la tipologia innovativa dei frutti delle nuove varietà, molto sovraccolorate; nello specifico si fa riferimento agli accorgimenti da mettere in atto in fase di raccolta per offrire un prodotto non solo attraente per il rosso acceso, ma anche al giusto grado di maturazione, pena l’offerta di un frutto con caratteristiche organolettiche non idonee. Va preso in considerazione anche il colore di fondo della buccia che non diventa rosso, ma vira dal giallo-verde al giallo-arancio con lievi sfumature verdastre.
Sul fronte dei portinnesti resta ancora tanto da fare. Il Mirabolano 29C, che è indubbiamente un soggetto valido, versatile per la specie, facile nella moltiplicazione in vitro, di sicuro non rappresenta la migliore soluzione in tanti ambienti di coltivazione meridionali, dove nei primi impianti in Basilicata e nelle aree “storiche” della frutticoltura campana sono stati utilizzati franchi di pesco. Nei terreni vergini e ben drenati i franchi di pesco Missour e Montclar®Chanturgue e di albicocco Manicot assicurano standard qualitativi migliori rispetto al mirabolano e sue selezioni. Anche la potenzialità espressa nelle diverse combinazioni e nei diversi ambienti pedoclimatici dall’utilizzo dei portinnesti di Prunus domestica Tetra e Penta va ulteriormente indagata.
Rispetto alla gestione dell’albero, abbandonate le forme in parete tipo palmetta per la forte richiesta di manodopera e di attrezzature per le operazioni colturali, si sono affermate due alternative: in coltura forzata sotto tunnel è stato sviluppato l’Y trasversale, per cercare di anticipare di circa due settimane la raccolta, mentre in pieno campo si è affermato il vaso libero, gestito da terra senza l’ausilio di attrezzature che, oltre a gravare sui tempi, richiedono forti investimenti iniziali.
Negli areali di coltivazione particolarmente soggetti alla presenza del virus della Sharka (PPV), un aiuto potrà venire dalla disponibilità di nuove varietà resistenti e/o tolleranti; al momento si dispone dei primi risultati conseguiti da alcuni “breeder” a livello internazionale. Innanzitutto bisogna essere consapevoli che la disponibilità di germoplasma resistente non è garanzia di successo agronomico e commerciale in quanto, come per tutte le varietà, è fondamentale una sperimentazione in campi di confronto varietale per verificare l’adattabilità e, successivamente, il gradimento da parte del mercato.n

Albicocco, tra incognite produttive e criticità fitosanitarie - Ultima modifica: 2017-04-27T15:10:51+02:00 da Lucia Berti

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