Cimice asiatica: un altro pericolo per la frutticoltura italiana

cimice asiatica
Dopo i disastrosi e imprevedibili effetti sulla coltivazione del pero in Emilia lo scorso anno, si allarga l’emergenza della cimice asiatica nel Nord Italia, da Est a Ovest. Poche contromisure, tante incognite e un futuro ancora incerto sul fronte delle migliori strategie di controllo. Tutti al lavoro per trovare una valida via d’uscita.

Si chama Halyomorpha halys, viene definita “cimice asiatica”, e da qualche tempo è la nuova emergenza fitosanitaria che scuote l’interesse dei ricercatori, ma soprattutto genera preoccupazione in campagna fra i frutticoltori e i servizi di assistenza tecnica. In particolare, in Emilia-Romagna, nel 2015, ha causato gravi danni alle produzioni di pere in provincia di Modena, ma diverse segnalazioni di presenze e di effetti negativi sono state raccolte in aree ortofrutticole del Nord Italia, dal Friuli al Piemonte, alla Lombardia.
Halyomorpha halys (“browm marmorated stink bug” - BMSB), Emittero Pentatomide, originaria dell’Asia orientale, in Italia è stata segnalata per la prima volta nel 2012, in provincia di Modena dal gruppo della dott.ssa Maistrello di UniMoRe e dall’anno successivo è oggetto di monitoraggi nello stesso territorio e in aree limitrofe. Estremamente polifaga e con elevatissimo potenziale invasivo, è fastidiosa non solo per le colture, ma anche per l’ambiente urbano a causa dell’emissione di sostanze maleodoranti (comunque non punge l’uomo).
A tal proposito, va detto che negli ultimi tempi, complici anomali andamenti stagionali, in molte aree agricole è segnalato un aumento delle presenze di Pentatomidi, fra cui le diverse cimici autoctone, i cui danni finora, ancorché noti, non hanno mai superato la soglia di attenzione; similmente avviene con diverse specie di Miridi (Lygus spp.). Bisogna pertanto non generare allarmismi inutili laddove si segnalano punture di tali insetti perché non necessariamente essi sono dovuti alla cimice asiatica.
Biologia
Halyomorpha halys compie uno sola generazione nelle regioni fredde, fino a 6 in quelle sub-tropicali; in Emilia-Romagna compie 2 generazioni, ma potenzialmente possono essere 3; in autunno gli adulti si aggregano in massa per svernare in aree protette, in campo, nelle case o negli edifici rurali; la sopravvivenza allo svernamento è di circa il 25%, a seconda della rigidità delle temperature. Poi, in primavera (tra marzo e aprile, con le prime giornate calde), si sposta verso le piante ospiti per alimentarsi (punge e succhia i tessuti vegetali); da metà maggio a tutto agosto avvengono gli accoppiamenti e le ovodeposizioni (250-400 uova ogni femmina), con ovature a gruppi di 20-30.
La prolificità e la capacità di arrecare danni anche nelle diverse forme giovanili, unite alla facilità di spostamento e alla grande polifagia, rendono la “cimice asiatica” un insetto molto pericoloso; la marcata vitalità e la longevità degli adulti la rendono particolarmente attiva: segnalata su oltre 70 specie vegetali diverse, si sposta continuamente da una pianta all’altra, colonizzando (nel caso dei frutteti) dapprima le piante di bordo e successivamente le altre. Si sposta in forma migratoria da una coltura all’altra, seguendone progressivamente sia la disponibilità, sia l’epoca di maturazione/raccolta; si posiziona preferibilmente nella parte alta degli alberi e si annida all’interno della vegetazione, soprattutto nelle piante più vigorose.
La polifagia di Halyomorpha halys è davvero elevatissima: segnalata sia in incolti che in orti, giardini e siepi ornamentali, attacca frequentemente mais, sorgo, soia, erba media e pomodoro da industria; fra le specie da frutto è più facile dire dove non è stata rinvenuta: pero, melo, susino, pesco, fragola, kaki, nocciolo, olivo, fico e vite sono tutte appetite. I danni più gravi, per ora, sono quelli segnalati su pero nelle provincie di Modena, Reggio-Emilia e Bologna Est (ove ha registrato uno specifico gradiente varietale, con punte di danno del 90% su Santa Maria e William, poi decrescenti su Decana del Comizio, Abate Fetel e Conference) e su melo in altre aree del Nord Italia. Laddove sporadicamente segnalata su pesco e susino non ha comunque mancato di generare danni al limite del 100% dei frutti colpiti.
La saliva dell’insetto, che è capace di pungere anche nelle fasi precoci di accrescimento del frutto, genera una specie di cono salivare nella porzione sotto-epidermica, provocando alterazioni della buccia ed erosioni superficiali, talora imbrattamenti, e deformazioni durante lo sviluppo; la polpa diventa sugherosa e brunastra. Se il danno avviene in prossimità della raccolta, il frutto può andare incontro a marcescenza. La precocità e la numerosità delle puntare possono rendere i frutti totalmente incommerciabili.
La storia recente
Halyomorpha halys è nativa di Paesi orientali come Giappone, Cina e Corea e per giungere in Italia ha fatto il giro del Pacifico; dal 1996 è nota negli Stati Uniti ove ha arrecato danni ingentissimi su melo, pesco e mais; poi, nel 2004, è comparsa in Europa (Svizzera e Lichtenstein), ma non è stata considerata pericolosa; nel 2013 è stata eliminata dalle Liste EPPO.
In Italia, pertanto, è considerata ancora un insetto nuovo, che ha colpito inaspettatamente alcune colture frutticole cogliendo impreparati sia gli apparati tecnici, sia i produttori. Le scarse conoscenze biologiche sull’insetto, la numerosità degli individui rilevati in campagna, la loro aggressività hanno generato, oltre che danni ingenti, preoccupazione e timori per il futuro controllo fitosanitario del pero e di altre specie da frutto.
La cimice asiatica è diventato in questi ultimi mesi un caso esemplare di ciò che può succedere a seguito dell’incremento degli scambi mondiali, di merci, ortofrutta e quant’altro; la globalizzazione porta inevitabilmente alla comparsa di nuove fitopatie, e l’Italia negli ultimi anni sembra particolarmente vulnerabile se solo si pensa, in ordine cronologico, alla PSA del kiwi, alla Drosophila delle ciliegie, alla Xilella dell’olivo e, ora, alla cimice. Va comunque dato atto alle strutture competenti, almeno in Emilia-Romagna, della capacità di generare con rapidità le giuste contromisure, attraverso progetti di ricerca mirati e condivisi col mondo della produzione.
Dopo l’esplosione del 2015, ma già dalla fine del 2013, l’Università di Modena-Reggio-Emilia, congiuntamente col Consorzio Fitosanitario di Modena, sono operativi per connotare con precisione la presenza del nuovo parassita e scongiurarne l’ulteriore diffusione. L’allarme del mondo della produzione non è stato inascoltato e da diversi mesi i competenti Servizi Fitosanitari Regionali sono attivi per evitare che in futuro possano ripetersi situazioni analoghe a quelle dell’estate scora. Oggi il “problema della cimice asiatica” è diventato di livello nazionale (il Mipaaf è allertato), date sia la vastità dei territori colpiti, sia le incognite sui criteri di prevenzione e controllo.
Cosa fare?
L’arrivo della cimice asiatica in Italia non è un fatto episodico, ma strutturale; è prevedibile un’ulteriore espansione dell’insetto sul territorio nazionale, soprattutto in conseguenza dell’aumento delle temperature autunno-invernali e della sua facilità di spostamento (diretta e indiretta). Premesso che lo stato delle conoscenze è ancora lacunoso e basato sulle esperienze di altri Paesi, tutto il mondo produttivo, specialmente quello emiliano-romagnolo, si è mosso per studiare gli effetti del parassita e mettere a punto i necessari protocolli di difesa.
Il primo aspetto, fondamentale, è quello del monitoraggio territoriale, onde conoscere la reale presenza dell’insetto e la sua potenziale pericolosità. Lo studio dell’andamento delle popolazioni e il conteggio cumulativo degli insetti per settimana di rilevamento sono i primi aspetti da affrontare, ma si deve tenere conto che non esiste ancora una tecnica affidabile di monitoraggio, né una soglia di intervento. Il lavoro deve partire dal controllo di eventuali presenze insolite sulle coltivazioni, dalla presenza di aggregati di cimici svernanti nei diversi ricoveri o su “piante spia” (es. ailanto, robinia, nocciolo, fagiolino, ecc.), dal rilevamento di danni insoliti sui frutti. Da metà aprile a metà ottobre sono opportuni i campionamenti settimanali delle coltivazioni con tecniche diverse e replicate: il “frappage” (o “tree beating”) per gli alberi da frutto e le siepi permanenti, l’uso di retini da sfalcio per le colture estensive e i prati, l’identificazione dei siti di origine, l’impiego di trappole di diversa tipologia.
In frutticoltura, specialmente, è consigliato il controllo dei bordi degli appezzamenti, quello della parte alta delle piante, nonché la rilevazione visiva a seguito di energici scuotimenti delle chiome delle piante.
La difesa chimica
Attualmente, salvo l’Acetamiprid, non ci sono prodotti registrati per questa avversità e occorre sfruttare l’efficacia collaterale di sostanze usate contro altri parassiti, in particolare molecole ad ampio spettro d’azione come neonicotinoidi, forforganici e piretriodi. Nessuna, tuttavia, ha mostrato “effetti miracolosi”; soprattutto, è assolutamente inutile effettuare interventi chimici preventivi poiché i principi attivi, agendo per contatto, sono utili solo in presenza dell’insetto.
Occorre adottare strategie il più sostenibili possibile, che coinvolgano, oltre ai frutteti, anche la gestione delle colture erbacee, delle siepi, degli incolti e delle bordure. Si deve inoltre tenere conto che un’eccessiva pressione chimica con prodotti ad ampio spettro rischia di compromettere l’equilibrio biologico del frutteto (soprattutto il pero) ove si può favorire l’esplosione di psille, acari, ecc. Ulteriore rischio è quello di raccogliere frutti con residui di fitofarmaci superiori agli standard richiesti dai mercati. L’esperienza americana insegna, almeno su melo, che l’azione combinata e ripetuta con piretroidi, neonicotinoidi e altre molecole (forforganici e carbammati) ha sì permesso di controllare la cimice asiatica, ma con riflessi negativi in termini di impatto ambientale e compromettendo le strategie di produzione integrata del frutteto.
Altri sistemi di controllo
Sono allo studio diverse strategie alternative e combinate di controllo; fra queste diverse tipologie di trappole (a stimolo luminoso, a feromoni e semiochimici); i feromoni di aggregazione utilizzati nelle “Rescue ® traps” permettono la cattura di grandi quantità di cimici, ma attirano gli individui verso le coltivazioni. Altre trappole (piramidali, più o meno grandi) possono essere posizionate al suolo o sulle piante in prossimità dei frutteti, nel tentativo di limitare il livello di infestazione; in Usa sono in corso sperimentazioni per valutare l’attendibilità di soglie di cattura per indirizzare gli interventi fitosanitari.
Allo studio anche diverse attrezzature (perlopiù semi-artigianali) per la cattura massale, da attuarsi anche al di fuori delle aree frutticole, così come le reti multifunzionali impiegate contro altri tipi di insetti (es. carpocapsa); in tal caso va stabilita la dimensione ottimale della maglia per impedire il passaggio delle cimici già negli stadi giovanili più piccoli.
La necessità di rispettare i disciplinari di produzione integrata sta anche prefigurando nuovi scenari logistici di gestione della difesa dei frutteti, con la creazione di fasce di protezione esterna (bordi) ove insistere con applicazioni chimiche a tutela delle parti più interne degli impianti produttivi. Da approfondire l’efficacia di agenti naturali di controllo come imenotteri oofagi, predatori generici e funghi entomopatogeni. Tutte pratiche che dallo scorso anno sono allo studio nell’ambito delle iniziative di ricerca e sperimentazione che i competenti Servizi Fitosanitari hanno promosso.
Conclusioni
Halyomorpha halys è un insetto nuovo per l’Emilia-Romagna e le altre aree frutticole ove ha fatto la sua comparsa; non ci sono ad oggi sufficienti elementi per indicare una strategia di contrasto sicuramente efficace, né si può prevedere con esattezza l’evoluzione delle popolazioni e la diffusione che avrà nei prossimi anni.
Nel corso del 2015 in Emilia-Romagna si è cercato di affrontare la problematica utilizzando tutte le risorse e le competenze disponibili, coinvolgendo Università, Servizio Fitosanitario, Consorzio Fitosanitario di Modena, centri di ricerca, società produttrici di agrofarmaci e tutti i tecnici che operano sul territorio nell’ambito dei servizi di assistenza tecnica. Nel 2016 continueranno e verranno potenziate le attività di ricerca e sperimentazione a tutti i livelli; sarà realizzato un monitoraggio per verificare l’effettiva presenza dell’insetto e il suo incremento nel corso della stagione vegetativa. Le risultanze dei campionamenti e delle trappole a feromoni saranno rese disponibili in tempo reale ai coordinamenti territoriali dei tecnici di produzione integrata, nel cui ambito settimanalmente verrà concordata una comune linea d’intervento.
La linea di difesa sarà adeguata all’andamento stagionale e ai risultati dei rilievi di campo; nella scelta dei prodotti fitosanitari da utilizzare si dovrà prestare particolare attenzione all’equilibrio complessivo dei frutteti, privilegiando le molecole più selettive ed evitando di generare problemi di recrudescenza di altri parassiti. Sarà fondamentale intervenire alla prima comparsa delle cimici nei frutteti, tenendo presente che gli adulti della generazione svernante sono più sensibili all’effetto dei trattamenti; mantenere bassa la popolazione può evitare attacchi massicci in prossimità della raccolta, quando i danni sono più gravi.
Deve essere assolutamente ribadito che i prodotti disponibili per la difesa chimica hanno quasi esclusivamente attività di contatto e una scarsa persistenza; i trattamenti realizzati prima della comparsa dell’insetto sono inutili, mentre i trattamenti “estintivi” a fine campagna sono inefficaci.

Cimice asiatica: un altro pericolo per la frutticoltura italiana - Ultima modifica: 2016-02-23T16:02:51+01:00 da Lucia Berti

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