Stato dell’arte della frutticoltura bio: chiaroscuri nella difesa

In una situazione fitopatologia resa sempre più difficile dalla comparsa di nuove emergenze parassitarie, la coltivazione biologica stenta a tenere il passo senza adeguate attività di ricerca e supporto tecnico-agronomico. Ma non basta la chimica: coltivare “bio” significa soprattutto prevenire i problemi e sfruttare le condizioni bio-edafiche dei diversi areali produttivi.

Dall’introduzione del primo regolamento europeo che normava l’agricoltura biologica (1991) sono passati ormai 24 anni. Questo periodo, corto in numero di anni, è stato,tuttavia,  molto lungo dal punto di vista fitoiatrico in quanto numerose sono state le innovazioni introdotte che oggi trovano larga applicazione nella difesa biologica delle colture da frutto.

Quando abbiamo iniziato la conversione dei primi frutteti i prodotti presenti sul mercato e autorizzati in agricoltura biologica non consentivano di proteggere adeguatamente le varie specie da diverse avversità. Per le drupacee, gli insetti che non eravamo in grado di controllare erano i tripidi sulle nettarine (in particolare nelle zone ad elevata pressione dell’insetto come le aree collinari), la mosca dell’olivo e delle ciliegie, la cidia delle susine tardive (dal mese di agosto in poi). Per le pomacee, la carpocapsa per anni ha causato danni enormi a mele e pere (tranne nelle zone con climi freddi dove l’insetto svolge 1/1,5 generazioni invece delle 3 delle zone più calde), l’afide grigio (Disaphys plantaginea) in particolare sulle mele. Inoltre, va ricordato che in un arco di tempo di pochi anni il passaggio al biologico causava la proliferazione di insetti che non conoscevamo causando problematiche importanti (es. tingide di meli e soprattutto peri, Caliroa limacina nel pero, ecc.).

Per quanto riguarda le malattie fungine, le avversità più importanti riguardavano le drupacee con la monilia in fioritura nell’albicocco e la monilia pre-raccolta nel pesco. Nelle pomacee la ticchiolatura è sempre stata controllata bene con rame e polisolfuro, mentre nelle pere la maculatura bruna è sempre stato un problema di difficile soluzione.

Oggi direi che abbiamo fatto progressi importanti per quanto riguarda gli insetti, mentre per le crittogame e le batteriosi rimangono diverse problematiche aperte.

Pesco

Con l’introduzione del principio attivo Spinosad si sono risolti molti problemi legati ai tripidi in fioritura nelle nettarine, per cui oggi è possibile coltivare il pesco in biologico senza grossissimi problemi. L’olio minerale, il piretro, la confusione sessuale, il Bacillus thuringiensis sono strumenti ottimi per il controllo dei principali parassiti del pesco. Se la monilia in fioritura non è mai stata un grandissimo problema per il pesco, quella in pre-raccolta rimane un problema ancora irrisolto. Legata all’andamento climatico, tuttavia, nelle annate poco piovose e calde non genera grossi problemi; si può limitare con pratiche agronomiche adeguate quali potature “pulite”, diradamenti accurati, potature verdi, ecc.

Albicocco

In un ventennio l’albicocco è passato da varietà ad elevata rusticità che richiedevano pochissimi trattamenti a cultivar più “delicate”; nuove patologie stanno rendendo questa specie di difficile coltivazione in biologico. Diverse di queste patologie sono di difficile controllo anche in frutticoltura convenzionale. Le batteriosi da Pseudomonas siringae in qualche anno hanno portato alla morte diverse piante o, comunque, a forti deperimenti degli impianti; piante che si sono gravemente ammalate sono difficilmente recuperabili. Diverso è il caso di nuovi impianti i quali con strategie opportune possono essere preservati da attacchi importanti.

l problema dei fitoplasmi, non legati alla coltivazione biologica ma alla coltura dell’albicocco in generale, spesso causa la non produzione di percentuali importanti di piante fin dai primi anni ed è in costante aumento ogni anno. Il Capnodio, rodilegno di introduzione relativamente recente nella aree emiliano-romagnole, è in costante diffusione e causa la morte di percentuali crescenti di frutteti; la difesa con prodotti chimici e, a maggiore ragione, biologici finora non ha fornito risultati interessanti, mentre il tentativo di prevenire gli attacchi con pacciamature con tessuti particolari è allo studio e si vedrà se potrà fornire risultati adeguati (va detto che in terreni umidi le larve che attaccano le radici non riescono a sopravvivere e, quindi, in terreni irrigui il problema è molto meno grave, ma le zone tipiche della coltivazione dell’albicocco, almeno in Romagna, non hanno tutte la possibilità di irrigare).

In biologico anche la difesa dalla Maculatura rossa (Apiognomonia erythrostoma) risulta difficoltosa e non definitiva; il fatto che colpisca prevalentemente varietà tardive e più sensibili (es. Portici) la rende più tollerabile. In questo quadro desolante la monilia in fioritura, che è sempre stata considerata l’avversità più temibile dell’albicocco, oggi va considerata ancora un’avversità per la quale i prodotti a disposizione (polisolfuro di calcio, zolfo liquido, ecc.) non forniscono risultati soddisfacenti, ma in effetti non è la più grave.

Ciliegio

Fino a qualche anno fa il ciliegio era considerata coltura impossibile in biologico quando coltivata in zone ove è presente la mosca della ciliegio (Ragholetis cerasi) cioè nella stragrande maggioranza dei casi. Si raccoglievano solamente le varietà precoci che sfuggono all’attacco dell’insetto. L’introduzione da qualche anno (seppure con deroghe annuali come uso essenziale) del prodotto “Spyntor Fly” aveva costituito una svolta vista la buona efficacia del prodotto.

L’arrivo da qualche anno a questa parte del moscerino della frutta Drosophila Suzuki e la sua estensione praticamente a tutto il territorio nazionale ha riportato la coltivazione biologica (e non solo) del ciliegio in una fase di incertezza, anche se le prime esperienze fatte con l’utilizzo di Spinosad associato a determinate tecniche colturali (raccolta tempestiva e totale in impianti razionali) ha dato buoni risultati. Una prospettiva sicuramente molto interessante è costituita dalla copertura totale delle piante con reti-anti insetto ed anti-pioggi che possono risolvere contemporaneamente  il problema agronomico del “cracking” delle ciliegie e quelli fitosanitari di mosca e Drosophila.

Susino cino-giapponese

Le problematiche dei fitoplasmi evidenziate per l’albicocco valgono anche per questa specie ed anzi in qualche caso sono anche più gravi. Un’altra avversità particolarmente temibile è Cidia funebrana, con particolare riferimento alle varietà a maturazione tardiva: dal mese di agosto in poi il controllo di questo insetto risulta particolarmente difficoltoso in quanto la confusione sessuale non fornisce risultati positivi ed anche l’utilizzo dei 3 trattamenti ammessi da etichetta con Spinosad difficilmente sono sufficienti a contenere i danni a livelli accettabili.

Susino europeo

Probabilmente è la specie più rustica e più adatta alla coltivazione biologica; purtroppo la mancanza di varietà valide (come sapore e, soprattutto come pezzatura), che coprano un arco di raccolta sufficientemente ampio, unita al fatto che il mercato delle susine europee non è molto esteso, limita la coltivazione di questa specie. Va ricordato che i danni di Cidia funebrana nelle varietà europee sono molto meno gravi rispetto alle cv cino giapponesi. Vanno citati anche gli attacchi di afide farinoso (Hyalopterus pruni), spesso di difficile contenimento, ma che, vista la loro localizzazione in un numero limitato di piante, difficilmente compromettono la produttività dei susineti.

Melo

Il melo quando si è iniziata la coltivazione biologica era la specie con le avversità più difficili da controllare, tanto che era quasi impossibile la sua coltivazione. Dopo circa 25 anni è diventata una specie le cui problematiche sono relativamente facili da affrontare; per la carpocapsa (Cydia pomonella), da sempre considerata l’avversità più temibile del melo, l’introduzione di diversi mezzi tecnici da utilizzare in sinergia fra loro (confusione sessuale, virus della granulosi, Spinosad, reti antigrandine che ne limitano lo sviluppo), consente di ottenere risultati molto buoni.

La ticchiolatura è sempre stata ben contenuta da trattamenti a base di sali di rame e di polisolfuro di calcio; di recente si è aggiunto a questi un prodotto a base di zolfo liquido che sta fornendo risultati interessanti. Per finire, non si può non citare la possibilità di fare impianti con varietà resistenti a ticchiolatura che hanno pregevoli caratteristiche agronomiche (Modì, Golden Orange, Gold Rush, ecc.).

Il “caso del pero”

Le pere biologiche da sempre spuntano prezzi particolarmente interessanti; c’è, quindi, da chiedersi perché la pericoltura biologica sia così poco sviluppata; la risposta, a mio parere, risiede nel fatto che la coltivazione del pero è, tra le specie da frutto, la più artificiale, la più dipendente da input esterni. Il motivo è la somma di diversi fattori, ma soprattutto l’utilizzo di portinnesti molto deboli (cotogni) e fortemente dipendenti da grandi input chimici a livello di nutrizione (chelati di ferro, concimazioni azotate, ecc.) e la coltivazione in zone fitoiatricamente poco vocate: basti pensare alla principale patologia che è la maculatura bruna - Stenphylium vesicarum - e che richiede un numero elevatissimo di trattamenti; questa patologia è molto meno grave o, in qualche caso quasi inesistente, in zone più asciutte come la Romagna o diverse aree del Piemonte. Stesso discorso vale per le “gemme nere”, patologia batterica causata da Pseudomonas syringae, oppure per il “colpo di fuoco batterico” da Erwinia amylovora.

Nella pratica, se il pero in biologico è estremamente difficile nelle zone ove si pratica la maggior parte della coltivazione e con le tecniche largamente applicate, diventa molto più fattibile in zone meno coltivate utilizzando portinnesti più sostenibili quali i peri ibridi autoradicati o le stesse varietà senza portinnesti, i franchi, ma anche (in presenza di terreni “vocati”) il Cotogno BA 29 chè è il più vigoroso, ma il meno utilizzato.

L’esperienza, seppure limitata, della pericoltura biologica romagnola ci dice che non ci sono particolari problemi fitoiatrici: la carpocapsa è più facilmente gestibile rispetto al melo (in particolare nelle varietà più precoci), gli attacchi di psilla spesso sono quasi inesistenti, la ticchiolatura è ben gestibile con una attenta difesa con i mezzi tecnici disponibili. Da segnalare i frequenti attacchi di insetti “secondari” quali la tingide (Stefanitis pyri) e la Caliroa limacina comunque ben controllabili.

Actinidia

L’actinidia è sempre stata una coltura che non necessitava di trattamenti fitosanitari fino a quando è comparsa la Pseudomonas Syringae pv Actinidiae. Questa avversità, in biologico, è tendenzialmente meno virulenta rispetto al convenzionale in quanto le piante sono meno “stressate” da concimazioni chimiche, applicazioni di fitoregolatori, ecc. Visto che la difesa dalle batteriosi è basata essenzialmente sull’utilizzo dei sali di rame che sono ammessi anche in biologico, il suo controllo non presenta problematiche particolarmente diverse dal convenzionale.

Kaki

La coltura del kaki, al pari di quella del kiwi, non ha mai presentato problematiche fitosanitarie importanti. Da diversi anni, ogni tanto, compare la mosca mediterranea (Ceratitis capitata) che può causare, però, danni consistenti. Oggi vi sono diverse strategie estremamente valide di controllo della mosca, soprattutto la cattura massale con trappole “attact and kill”.

In propsettiva   

Le multinazionali della chimica stanno sviluppando con sempre più intensità prodotti per la difesa delle piante utilizzabili anche in coltivazione biologica, in particolare prodotti che associano proprietà nutrizionali o biostimolanti ad attività più o meno dirette contro diverse avversità delle piante. E’ possibile, quindi, che in futuro possano essere resi disponibili nuovi prodotti in grado di migliorare quelli esistenti oppure fornire risposte che ancora mancano

La novità più importante che di recente si sta sviluppando è costituita dall’utilizzo delle coperture totali delle piante da frutto con reti ad azione principalmente anti-insetto, ma che completano la loro attività con una protezione da grandine e/o bagnatura fogliare. Queste reti consentono l’eliminazione totale dei trattamenti fitosanitari per alcune avversità importanti (cidia e anarsia del pesco, carpocapsa del melo, cidia del susino, mosca e Drosophila suzuki del ciliegio, ecc.). Interessante, però, sembrano anche altri aspetti legati alla fisiologia della pianta che potrebbero essere molto utili se confermate dalla pratica di campo: contenimento della vigoria, miglioramento della nutrizione dei frutti, aumento della pezzatura, diminuzione dell’alternanza di produzione, ecc. Sarà questo uno degli argomenti da studiare sperimentalmente nel corso del prossimo futuro.

Stato dell’arte della frutticoltura bio: chiaroscuri nella difesa - Ultima modifica: 2015-03-11T14:23:36+01:00 da Lucia Berti

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